Un ingegnere sparato alle gambe per uno scooter. Ciò che è successo e vi racconterò, è avvenuto in un tardo pomeriggio, alla periferia est di Napoli, San Giovanni a Teduccio. Un uomo, lo vedete, si ferma a un distributore col suo scooter per fare rifornimento. Lo affiancano due ragazzi con un altro motorino. Quello più basso, seduto dietro, scende col volto coperto da un passamontagna e gli intima di consegnargli il motorino.

L’uomo, un ingegnere, non glielo vuole dare. Il rapinatore cerca di staccare la pistola dalla valvola del carburante, che gli dà intralcio, vuole portarsi via il motorino, ma il proprietario dello scooter glielo impedisce. Resiste. Fino a che il malvivente, quasi in uno scatto di nervi, desiste dalla sua impresa, sale sul mezzo del complice. Ma prima di fuggire gli spara alle gambe. L’ingegnere, ferito, resta a terra, mentre il benzinaio, impassibile, non riesce a fare nulla. Neanche a soccorrerlo, indifferente, rispetto a tutto quello che accade davanti ai suoi occhi. L’ingegnere è fuori pericolo, per fortuna, ricoverato in ospedale.

Ingegnere sparato per uno scooter: le domande da porci

Però la domanda è, a questo punto: “Possiamo ancora accettare, tollerare, immagini del genere? Può un uomo rischiare la vita perché si rifiuta di farsi derubare ed essere lasciato solo da tutti?”. Sono immagini che fanno male, soprattutto ai tanti napoletani onesti che hanno paura per loro e per i loro figli.

Da anni la periferia di Napoli è un posto dove lo Stato arranca, fatica a far sentire la propria presenza. La criminalità la fa da padrona, la scolarità è a livelli bassissimi e, spesso, per un guangliuncello, è più facile mettersi una pistola in tasca e fare rapine che mettersi a studiare e pensare a un futuro diverso. Si fatica meno e si guadagna di più.

I controlli scarseggiano, gli uomini delle forze dell’ordine in strada sono sempre meno. Ma quello che indigna è che c’è un livello di tolleranza sotto il quale chiunque può arginare la legge come gli pare senza che nessuno gli presenti un conto. Faccio un esempio: è quasi normale, alla periferia di Napoli, vedere centinaia di motorini e di ragazzini che viaggiano senza casco, senza che nessuno li fermi. Esattamente come quelli che hanno aggredito e sparato all’ingegnere. Gli archivi sono pieni di immagini di questo tipo, che sono uno schiaffo al buonsenso oltre che al senso civico.

Napoli è l’unica città in Italia dove questo accade, è un malcostume che dura da anni. Perché tutto questo viene tollerato? Non esistono delle leggi che valgano in Italia ma a Napoli no. Un ragazzino che può girare in motorino senza casco si fa l’idea che chissà quante altre leggi possano essere aggirate, tanto nessuno dice nulla.

I rapinatori che hanno sparato a quell’uomo, forse, lo avrebbero ferito anche col casco sulla testa. Ma il punto è un altro: la legalità è una casa che si costruisce poco alla volta, mattone dopo mattone. Forse lo Stato, per combattere la microcriminalità, potrebbe iniziare da lì, a far sentire la propria voce. Dare un segnale, una volta per tutte. Dimostrare che non esistono deroghe a rispetto delle regole. Lo dovrebbe fare per quell’ingegnere gambizzato, per Napoli, e anche per tutti noi.

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