Ricoverato in gravi condizioni nel Regno Unito dopo aver assunto una dose di vitamina D quasi 400 volte maggiore rispetto a quella che gli era stata raccomandata. A riportarlo il BMJ Case Reports da parte di un gruppo di medici di quattro differenti ospedali.
Secondo quanto informato sul report un uomo di mezza età è stato ricoverato riportando sintomi come: vomito incessante, nausea, dolore e crampi addominali. E poi ancora: crampi alle gambe, secchezza nelle fauci, diarrea, sete incontrollabile e acufene. Questi sintomi duravano da tre mesi.
Al momento del ricovero ospedaliero l’uomo aveva già perso ben 13 chili e aveva i reni affaticati. Il paziente ha detto di aver iniziato ad accusare i primi sintomi dopo un mese dall’inizio della terapia di integratori vitaminici suggeritagli da un nutrizionista privato.
Al comparire dei sintomi l’uomo aveva interrotto l’assunzione degli integratori, tuttavia le cose non erano cambiate. Dai test si evidenza che il paziente aveva riportato un’overdose.
Overdose da vitamina D
La condizione di overdose per eccessiva assunzione dell’integratore vitaminico in questione è chiamata ipervitaminosi D. L’endocrinologo dell’ospedale William Harvey nell’East Kent del Regno Unito che ha curato il paziente, Alamin Alkundi, ha riferito che l’uomo aveva “sentito parlare bene degli integratori durante un talk show radiofonico“.
Così “ha contattato il nutrizionista intervistato“. Il gruppo di medici ha scelto di condividere e diffondere la notizia per allertare chi fa uso spropositato e superficiale di certe pillole. Si tratta infatti di un fenomeno in aumento. I medici mettono in guardia perché se è vero che da un lato numerosi studi ne hanno promosso i benefici, dall’altro i casi di intossicazione sono in aumento.
Gli iperdosaggi del paziente ricoverato
Il paziente voleva risolvere precedenti problemi di salute tra cui turbercolosi, meningite batterica e sinusite cronica. Sperava di farlo con i consigli del nutrizionista interpellato. Gli iperdosaggi riguardavano anche l’assunzione della vitamina C, della vitamina B9, della vitamina B2, della vitamina K2 e della vitamina B6.
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Vitamina D: effetti collaterali, bassa vitamina D e sintomi neurologici a causa della sua carenza, in quali alimenti si trova e a cosa serve
L’uomo, dopo aver esagerato con i dosaggi, ha accusato gli effetti collaterali sopra descritti come vomito continuo, diarrea, sete ininterrotta, nausea, crampi addominali e sulle gambe. I reni sono risultati estremamente affaticati. Inoltre sono stati rilevati alti livelli di calcio nel sangue (ipercalcemia), tipico effetto del sovradosaggio dell’integratore vitaminico.
Sebbene l’uomo fosse rimasto in cura per otto giorni, trattato solo con liquidi assunti per endovena, al fine di reidratare l’organismo, e bisfonati, i livelli di calcio si sono abbassati ma a distanza di due mesi dalle dimissioni dalla struttura ospedaliera i livelli di vitamina D sono rimasti piuttosto elevati.
Iperdosaggio
“La vitamina D viene immagazzinata nel fegato e nelle cellule adipose del corpo fino a quando non sono necessarie. Andare oltre la dose giornaliera raccomandata può portare ad avere questi sintomi prolungati per settimane” come affermano i medici autori della pubblicazione del report.
Lo scopo primario della vitamina D “è quello di aiutare l’organismo ad assorbire il calcio dall’intestino. Assumere vitamina D svolge anche un ruolo nella salute immunitaria, nell’attività delle cellule cerebrali e nel funzionamento dei muscoli“.
Secondo quanto riportato dal BMJ Case Reports tuttavia il sovradosaggio porta all’ipercalcemia, condizione che indebolisce le ossa e interferisce con la funzionalità di cuore e cervello, nonché può essere causa di calcoli renali. Per ottenere idonei livelli di vitamina D nel sangue, oltre alla dieta, occorre esporsi alla luce solare ma senza esagerare.
Come assumerla
La vitamina D si forma all’80% nella cute e il restante 20% deriva dall’alimentazione. La vitamina D è presente nei pesci grassi: salmone; tonno; anguilla; sardine e pesce spada. Presente anche: nell’olio di fegato di merluzzo; nel tuorlo d’uovo; nel latte intero; nel burro; nei formaggi. Troviamo la vitamina D a tavola anche con alimenti come: il fegato di maiale e di manzo; i cereali irrobustiti con l’aggiunta di vitamina D; i funghi selvatici.
I sintomi della carenza
Una bassa assunzione di vitamina D, secondo uno studio di Harvard, porta a sintomi come dolore alle ossa, alle articolazioni, debolezza muscolare. Inoltre si rilevano tra i sintomi anche disturbi da fascicolazione muscolare, ossa fragili, difficoltà a ragionare e stanchezza ricorrente.
Secondo l’Istituto Auxologico Italiano (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico), la carenza della vitamina D è asintomatica e si manifesta solo in caso di grave deficit. Tra i sintomi si possono riscontrare anche manifestazioni di carattere neurologico come contrazioni involontarie (disturbi da fascicolazione muscolare). Ma anche stati confusionali, difficoltà di pensare lucidamente, ansia e disturbi del sonno.
In un recente articolo pubblicato sull’International Journal of Molecular Sciences si legge che la carenza di vitamina D “potrebbe anche facilitare lo sviluppo e la progressione di molte ‘malattie della civilizzazione’“. Secondo lo studio si parlerebbe di “disturbi cardiovascolari, diabete, malattie autoimmuni e cancro“.
Lo riporta l’AIRC (Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro). Secondo numerosi studi l’integrazione della vitamina D migliora la densità minerale delle ossa. Oltretutto è un toccasana per gli anziani perché ne previene le loro fratture, sempre secondo gli studi riportati da AIRC.
Tuttavia il discorso rimane controverso tra medici e ricercatori, in quanto la densità ossea ottimale vera e propria si costituisce soprattutto durante l’arco della vita. Anche attraverso l’attività fisica. I ricercatori valutano il ruolo della vitamina D nella prevenzione e cura dell’influenza stagionale.
Ma anche nello sviluppo di alcune malattie autoimmuni e neurologiche. Infine si sta studiando la correlazione tra la vitamina D e il microbiota intestinale. In tutti i casi citati non vi sono ancora prove scientifiche a sufficienza per sostenere l’uso regolare di integratori.