Il calcio italiano sta affrontando una crisi tecnica tra le più devastanti nella sua storia. Sono passati solo pochi mesi dalla vittoria del campionato Europeo delle Nazionali, eppure gli azzurri sono ripiombati di nuovo nell’incubo della mancata qualificazione ai prossimi Mondiali di calcio che si giocheranno in Qatar tra novembre e dicembre di quest’anno.
Quello che i tecnici consigliano è un ritorno alle tradizioni: se non nei mezzi e nelle strutture, ormai rinnovati, quantomeno nelle intenzioni. La critica più gettonata è quella relativa al mancato coinvolgimento di un numero corposo di talenti del nostro Paese nei settori giovanili. Una tradizione che non dovrebbe mai cambiare. Tuttavia è innegabile che ad oggi ci siano sempre meno ragazzini che giocano per strada. Le abitudini sono cambiati e la tecnologia ci ha messo del suo.

Il ritrovamento di palloni di decine di anni fa
Davvero indicativo che in un momento così sia “sbucata” una foto che ritrae decine di palloni da calcio risalenti a diversi anni fa sul gruppo di Facebook “Sei di Ascoli Piceno se…“. I palloni erano sul tetto della chiesa di San Tommaso Apostolo di Ascoli Piceno. A scoprirlo sono stati gli operai che lavorano per restaurare la struttura dopo le lesioni che la stessa ha subito nel terremoto del 2016.
La cosa meravigliosa è che i palloni riassumono simbolicamente i tempi andati e che mai rivivremo. Appartengono ad epoche diverse, tra le quali quella del Mondiale di Argentina del 1978. L’assessore allo Sport del comune di Ascoli, Nico Stallone, ha commentato il ritrovamento con nostalgia perché quei palloni “sono la testimonianza” di quel calcio che si giocava “nelle piazzette e nei campetti delle parrocchie“.

Un’occasione per socializzare oltre che divertirsi, luoghi in cui “i ragazzi si incontravano per tirare calci sognando di diventare campioni“. Sogni diventati realtà per alcuni di loro che “sono riusciti a coronare questo desiderio“. Poi una chiosa con una speranza, assai improbabile: sperare di rivedere i ragazzi “tornare a giocare un po’ più in strada” per il bene “della socializzazione” e “del calcio italiano“.
I giochi anni ’80 all’aperto
Vedi anche: Nostalgia degli anni ’70: quanto costava la vita al tempo
Iniziamo questa nostalgica lista dei giochi anni ’80 cominciando da quelli con la palla legati al calcio visto che siamo in tema. Per poi spostarci ai giochi anni ’80 con la palla di ogni tipo fino ai giochi anni ’80 all’aperto di qualsiasi genere.
La partitella

3 contro 3 o 5 contro 5 ma anche 8 contro 8. E poco importava degli spazi a disposizione o degli ostacoli incombenti come un marciapiede o gli scalini adiacenti alle abitazioni in rialzo. Una macchina parcheggiata o un tombino sporgente. Anzi: gli stessi ostacoli diventavano compagni di squadra immaginari e fungevano da sponde “battimuro” per i ragazzi che si dilettavano nei giochi nei nostalgici anni ’80.
Si faceva la conta e solitamente erano i due ragazzi più bravi a scegliere come formare le squadre, all’insegna dell’equilibrio. Risultato? Scontato. Sbucciature di ginocchi, gomiti sanguinanti, lividi di ogni tipo e sicuramente liti competitive ma anche tanto sano sfogo e divertimento.
Tra gli anni ’70 e ’80 la passione era quella del “dribbling“: più si dribblava e più ci si divertiva. Quindi si giocava anche in funzione di ricercare spazi stretti e qualora la dribblata fosse stata semplice, venivano ricercate situazioni ancora più complesse affrontando 3 o 4 avversari alla volta.
La tedesca, un must tra i giochi anni ’80 con la palla

Le porte? O due zaini, o due cappotti ma anche due palette. Oppure due sassi o semplicemente l’ingresso di un garage. Saracinesche, vetrine o portoni. Insomma, di soluzioni ce n’erano infinite e tanto bastava per giocare a questo gioco che prevedeva solo la presenza proprio di una porta e di un pallone.
“Chi porta il pallone?“. Una volta stabilito chi fosse il portiere, i giocatori si passavano la palla creando un buon ritmo di gioco che culminava con il tiro verso la porta e il portiere. Se il tiro non avesse fruttato il goal, avrebbe costretto il giocatore in questione a sostituire il portiere che così rientrava in gioco.
Il tutto veniva fatto seguendo un punteggio che una volta sceso sotto il minimo per restare in partita, prevedeva l’eliminazione del giocatore in questione. Quando restavano gli ultimi due in ballo, questi se la vedevano ai rigori. Tra i giochi anni ’80 questo era uno dei più diffusi tra i maschietti.
Ce ne sono una infinità di giochi con la palla legati al calcio degli anni ’80, tuttavia ci soffermiamo su quelli più noti e proseguiamo con i giochi con la palla.
Palla prigioniera e palla avvelenata, spesso giochi confusi tra loro sia negli anni ’80 che dopo…

La verità? Le regole originali non le rispettavano proprio tutti. Questi giochi avevano delle regole precise, tuttavia si potevano modificare di volta in volta, tanto l’importante era divertirsi. Palla prigioniera e palla avvelenata erano giochi che a volte venivano confusi tra loro. E ne venivano mischiate così le stesse regole. Ma poco importava purché appunto ci si divertisse.
Ad esempio in palla prigioniera chi era in possesso della palla doveva lanciare aldilà del campo contro la squadra avversaria sperando di colpire il malcapitato per farlo prigioniero e metterlo fuori gioco. Nelle versioni scolastiche le insegnanti preferivano che il prigioniero diventasse direttamente un eliminato per non superare l’orario previsto nell’ora di educazione fisica.
Il prigioniero poteva comunque tornare in gioco nella versione originale. Se il lancio della squadra in attacco fosse stato bloccato da un giocatore avversario, questo processo avrebbe permesso al prigioniero di rientrare in gioco. Tuttavia in altre versioni questa circostanza eliminava direttamente il lanciatore. Nella versione originale del gioco, prima di lanciare la palla per colpire la squadra avversaria, dovevano avvenire tre passaggi di squadra.
Mentre la palla avvelenata, spesso confusa con palla prigioniera, c’era bisogno di un muro contro il quale far rimbalzare il pallone che poteva prendere, a rimbalzo, solo il giocatore chiamato in causa. Questo avrebbe dovuto bloccare la palla, compiere tre passi e cercare di colpire i suoi compagni che restavano immobili dopo il suo segnale. In altre versioni del gioco i passi non erano previsti.
Palla a muro, non poteva mancare tra i giochi anni ’80

Bisognava trovare semplicemente un muro che permettesse il ritorno della palla che veniva lanciata con le mani contro lo stesso. Il gioco consisteva nel non far cadere mai la palla a terra, circostanza che altrimenti avrebbe tolto la possibilità al giocatore di proseguire. Una volta che la palla toccava terra, il giocatore doveva lasciare spazio agli altri.
Rifatto il giro, quando riprendeva il turno di un giocatore il palleggio diventava sempre più complesso con varianti articolate. Ad esempio battere le mani prima di ribattere a muro, farlo con una sola mano o farlo in giravolta.
Pallavolo con cancelli usati come rete

Semplice no? Non necessita di altre spiegazioni aggiuntive: il semplice gioco della pallavolo a patto di accettare come compromesso che il contatto diretto con la “rete” fosse molto ma molto più intenso e traumatico.
È ora di passare ai giochi all’aperto senza palla: iniziamo con il più classico…
Nascondino, diffusissimo e non solo tra i giochi anni ’80

Si faceva la conta per stabilire chi doveva chiudere gli occhi, poggiato su un muro che veniva riconosciuto come “tana” e contare fino a un “tot“, dando il tempo a tutti i giocatori di nascondersi. Finito il conto alla rovescia del giocatore “addetto” al ritrovamento dei ragazzi nascosti, questo si appropinquava alla ricerca degli stessi senza mai perdere di vista il punto esatto della conta, la “tana“.
Infatti una volta individuato il giocatore nascosto, che poteva raggiungere anche col solo sguardo, doveva tornare sul punto esatto della conta “tanandolo” e rivelando il posto in cui era nascosto il giocatore in questione. Se uno dei giocatori nascosti riusciva ad avanzare e arrivare alla “tana“, questo poteva liberarsi dal gioco e salvarsi rivelandolo anch’egli ad alta voce.
L’ultimo giocatore rimasto in gioco poteva fare “tana libera tutti” qualora fosse riuscito ad arrivare alla tana prima del suo rivale “cacciatore“.
Tiro alla fune

Per questo gioco bastava una corda ed era fatta. Il problema vero era trovare squadre equilibrate o numericamente pari. Per non parlare delle difficoltà dell’impugnatura dato che la corda tagliava le mani. Oltretutto molti giocatori baravano sui metri di corda.
Il gioco consisteva nel trovare un punto mediano e disporsi agli estremi della corda impugnandola bene al fine di tirare verso di sé i giocatori avversari allo scopo di fargli attraversare il punto segnato a terra. Ogni volta che un componente si sedeva o cadeva, venivano assegnati punti di penalità alla squadra di appartenenza dello stesso.
Sedie musicali

In questo gioco era necessaria una sedia o anche più di una, dipendeva dal numero dei partecipanti. Tuttavia i giocatori dovevano numericamente superare il numero di sedie presenti. Partiva una musica e quando non c’era la disponibilità di una radio, cantava direttamente uno dei giocatori.
A un certo punto la musica veniva interrotta: era il segnale che tutti i ragazzi dovevano sedersi. Tutti tranne uno. E chi non riusciva a sedersi restava fuori dal gioco. Veniva così eliminata anche una sedia per far sì che le sedie presenti, numericamente, fossero sempre inferiori di un elemento rispetto ai giocatori. Così via fino alla finalissima con una sedia e due giocatori in ballo.
Strega comanda colore

Noto anche come “strega tocca colore”, consisteva nell’attendere la pronunciazione da parte della “strega” della frase da cui prende il nome questo gioco. Dopo la frase, la stessa aggiungeva un colore. I giocatori dovevano quindi mettersi in salvo toccando un oggetto del colore stesso. La “strega” poteva intercettare attraverso un contatto fisico chi non faceva in tempo a mettersi in salvo, che veniva dunque eliminato.
Il gioco della campana

Si disegnava a terra un percorso che alternava una casella a due caselle. Veniva lanciata una pietruzza che non doveva toccare i bordi delle stesse e il giocatore iniziava il percorso. Questo doveva essere eseguito poggiando un solo piede alla volta dove vi era una sola casella ed entrambi (uno per casella) laddove ve ne fossero due, a patto che la pietruzza non si trovasse in una di queste che quindi non poteva essere calpestata.
Arrivati al limite del percorso, ammesso che lo stesso fosse stato eseguito senza sbavature di sorta (come mettere i piedi sulle linee di separazione), ci si girava per rifarlo al contrario ma stavolta al passaggio della casella con il contrassegno, questo veniva raccolto per portarlo con sé fino alla fine del percorso a ritroso.
Il contrassegno veniva così rilanciato su altre caselle e vinceva chi riusciva a fare il percorso dopo averlo affrontato con la pietra posizionata su tutte le caselle.
Qualora un giocatore avesse infranto una delle regole previste (come toccare i margini delle caselle con i piedi, o cadere, o posando a terra il piede dove non avrebbe dovuto), questo veniva temporaneamente bloccato per lasciare il turno al giocatore avversario e avrebbe dovuto attendere il suo prossimo turno per riprendere il percorso da dove lo aveva lasciato in precedenza.
Rubabandiera o gioco del fazzoletto

Uno dei più classici: si sceglieva un punto mediano sul quale veniva allineato il portabandiera che esponeva la stessa (poteva essere un tovagliolo, una pezza o qualcosa di più simile a un fazzoletto). Le squadre venivano disposte in zone equidistanti dal portabandiera e ai giocatori veniva attribuito un numero col quale venivano chiamati in causa.
Quando il portabandiera pronunciava il numero, i giocatori corrispondenti allo stesso delle due squadre avversarie dovevano correre verso il fazzoletto per prenderlo e tornare al loro punto di partenza. Questo procedimento assegnava il punto.
Tuttavia chi rubava la bandiera poteva non salvarsi e perdere il punto in favore della squadra avversaria se intercettato da un contatto fisico (non violento) del suo diretto rivale prima di tornare al punto di partenza.
Se entrambi i giocatori afferravano il fazzoletto contemporaneamente il punto veniva annullato.
Un, due, tre, stella

Un altro classico ripescato in una versione macabra e rivisitata nella famosa serie tv “Squid Game“, “un, due, tre, stella” era un gioco che poteva coinvolgere un numero elevatissimo di giocatori. Un ragazzo si poggiava al muro e dando le spalle ai giocatori in ballo doveva dire “un, due, tre…” e voltarsi quasi contemporaneamente alla pronunciazione di: “…stella!“.
Una volta raggiunto il contatto visivo con i ragazzi in gioco, l'”addetto” alla conta verificava che tutti fossero immobili altrimenti anche un micromovimento sarebbe bastato per comportare l’eliminazione di uno o più giocatori. Si vinceva una volta raggiunto il muro sul quale il giocatore della conta si poggiava pronunciando la famosa frase da cui prende il nome il gioco.
Speriamo di avervi fatto tornare alla mente i tanti momenti felici e ahinoi nostalgici, appartenenti a tempi che mai più torneranno, ammesso che abbiate vissuto da ragazzini gli anni ’80 e i giochi che si facevano all’epoca.